La Cannabis sativa L., chiamata comunemente “canapa” intendendo quella ad uso tessile e “marijuana” quella con effetto psicotropo, è da sempre una pianta ampiamente utilizzata a scopo alimentare, terapeutico, religioso, agronomico, ricreativo e nella lavorazione industriale.
Negli anni ’30 in Nord America è cominciato uno sfrenato proibizionismo verso questa pianta, in quanto considerata droga, anche se l’uso ricreativo fino ad allora non era molto diffuso.
In realtà il vero obiettivo del proibizionismo era la necessità di togliere dal mercato non la droga, ma una pianta, che potenzialmente avrebbe fatto concorrenza a tutte le emergenti industrie: chimiche, farmaceutiche, del petrolio, della carta e delle fibre sintetiche.
Vediamo un po’ di fatti.
Già nell’Ottocento, l’utilizzo intensivo del cotone e l’avvento delle navi a vapore, avevano cominciato ad inibire la coltivazione della canapa, in quanto non più necessaria per fare le vele e i tessuti.
Gli usi medici della cannabis sono antichi e importanti, e ne fanno una delle piante medicinali più utili in assoluto. Tra ‘800 e ‘900 la cannabis cominciò ad essere sostituita dai farmaci di sintesi, che avevano il vantaggio di poter essere dosati con maggior precisione, di avere rapida efficacia, e soprattutto di trarre più profitto economico. Cominciò così ad essere sostituita per le stesse ragioni che portarono al rimpiazzo progressivo dei farmaci naturali con quelli di sintesi.
Dopo un periodo di indifferenza per questa pianta, verso gli anni ’30 ci fu un rinnovato interesse per gli utilizzi industriali della canapa: vennero studiati nuovi materiali ad alto contenuto di fibra per l’industria, materie plastiche ricavate dalla cellulosa, e venne anche studiata la possibilità di fabbricare la carta col legno della canapa. Con l’olio dei semi, già si producevano in grande quantità vernici e carburante per auto.
Sempre in quel periodo, il magnate del petrolio Henry Ford costruì un prototipo di automobile in cui la carrozzeria, gli interni e persino i vetri dei finestrini e il carburante che faceva muovere il motore, erano di canapa.
La canapa era potenzialmente diventata una fonte abbondante di materie prime per numerosi settori dell’industria: un’industria molto più sostenibile per l’ambiente rispetto a quella che si sviluppava in parallelo, basata sulle sostanze chimiche, sul petrolio e i loro derivati e sugli elevati tornaconti economici.
In America infatti, si erano già costituiti dei grossi interessi che si contrapponevano alla canapa. Con il petrolio si incominciavano a produrre materiali plastici e vernici, e la carta da giornale della catena Hearst era fabbricata a partire dal legno degli alberi con un processo che richiedeva grandi quantità di solventi chimici, forniti dalla industria chimica Du Pont. Queste due società si coalizzarono promuovendo una insistente campagna di stampa durata anni, in cui la cannabis, chiamata da allora con il nome di “marijuana”, venne accusata di essere responsabile di tutti i delitti più efferati riportati dalla cronaca del tempo. Riuscirono nel loro intento nel 1937, anno in cui venne approvata una legge che proibiva la coltivazione di qualsiasi tipo di canapa, approfittando anche del fatto che l’America attraversava una profonda crisi economica, con milioni di disoccupati e un’opinione pubblica esasperata alla ricerca di un capro espiatorio. Da notare che non venne bandita solo la cannabis stupefacente che veniva sfruttata nelle campagne proibizionistiche, ma anche la normale canapa coltivata, che era in realtà il vero obiettivo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia dovette sottostare a diverse clausole “segrete”, tra cui c’era quella di interrompere la produzione di canapa (le sementi furono cedute alla Francia o distrutte), con la scusa di “impedire che la gente la usasse come droga”. La proibizione avvenne (anche se non risulta dai trattati ufficiali) dopo la visita di Alcide De Gasperi negli Usa e l’entrata dell’Italia nella alleanza atlantica. Da allora il governo italiano mise fuori legge la coltivazione.
Ancora oggi in diversi stati vengono perseguite penalmente alcune centinaia di migliaia di persone ogni anno solo perché trovati a fumare qualche “sigaretta”.
Come ogni proibizionismo, anche questo è stato determinante nel far diffondere la “cosa proibita”, ovvero l’uso ricreativo della cannabis. In sostanza, l’unico proibizionismo che ha veramente funzionato, è stato quello nei confronti della canapa per uso industriale e della cannabis terapeutica, incentivando invece l’uso della marijuana e la curiosità della gente che poteva reperirla solo dal mercato illegale.